I piatti delle nonne con la loro magia, albergano nel regno incantato dei ricordi e affascinano il mondo dei sapori …
Nonna, avrebbe voluto chiedere Douglas [l’infantile io narrante del racconto], è qui che è cominciato il mondo? Perché non riusciva a immaginare un posto migliore. La cucina senza dubbio, era il centro della creazione, tutto le gravitava intorno; era il basamento che sosteneva il tempio. […]
“Che cosa ci prepara la nonna stasera?” chiese la voce di zia Rose dal mondo reale del salotto.
“Nessuno sa mai quello che prepara” disse il nonno che era tornato a casa in anticipo per festeggiare la carnosa parente. “Solo al momento di sederci a tavola abbiamo la sorpresa. Tutto è avvolto nel mistero, tutto è suspense.”
“A me piace pregustare quello che mangerò” disse la cugina Rose e scoppiò in una risata. Le gocce del lampadario in camera da pranzo tintinnarono dolorosamente. […]
Seguita da nuvole di vapore, la nonna andava e veniva tra la cucina e la camera da pranzo, mentre la compagnia aspettava in religioso silenzio. Nessuno osò alzare il coperchio di un vassoio prima del tempo, ma quando la nonna si fu finalmente seduta e il nonno ebbe detto la preghiera di ringraziamento, coltelli e forchette balenarono tutti insieme. Era uno sciame di argentee locuste che volava da un vassoio all’altro.
Una volta che tutti si furono riempita la bocca a sazietà, la nonna si appoggiò allo schienale della sedia e chiese : “Vi è piaciuto?”
Per i parenti e gli altri convitati (inclusa zia Rose) si poneva un grave dilemma rispondere e rompere l’incantesimo o continuare a divorare quel nettare, quel cibo degli dei che andava giù così meravigliosamente nelle loro gole? Non riuscivano a decidere e non sapevano se piangere o ridere. Congelati dal silenzio, parevano capaci di restare lì in eterno, indifferenti a stragi e terremoti, incendi e sparatorie, ammaliati dai deliziosi sapori della cena. Non esistevano cattivi in quel mondo di spezie profumate, di succose radici, di teneri ingredienti; di fronte a tanto anche l’uomo più malvagio si trasformava in innocente. L’occhio non aveva che da spaziare: la tavola era imbandita di fritti, sformati, stufati, sughi inventati sul momento, ogni ben di Dio. Gli unici rumori erano gli scoppiettii eterni delle pentole in cucina e il tintinnio delle posate sui piatti, rintocchi di un orologio che batteva i secondi invece delle ore.
Poi zia Rose chiamò a raccolta tutte le sue forze, la salute e il colorito che erano in lei e, rivolgendo le punte della forchetta verso l’alto, con un boccone saldamente infilzato, osservando il mistero che la forchetta le presentava, parlò nel solito tono roboante.
“Oh, è tutto ottimo. Ma che cos’è, esattamente che stiamo mangiando?”
Nonna, avrebbe voluto chiedere Douglas [l’infantile io narrante del racconto], è qui che è cominciato il mondo? Perché non riusciva a immaginare un posto migliore. La cucina senza dubbio, era il centro della creazione, tutto le gravitava intorno; era il basamento che sosteneva il tempio. […]
“Che cosa ci prepara la nonna stasera?” chiese la voce di zia Rose dal mondo reale del salotto.
“Nessuno sa mai quello che prepara” disse il nonno che era tornato a casa in anticipo per festeggiare la carnosa parente. “Solo al momento di sederci a tavola abbiamo la sorpresa. Tutto è avvolto nel mistero, tutto è suspense.”
“A me piace pregustare quello che mangerò” disse la cugina Rose e scoppiò in una risata. Le gocce del lampadario in camera da pranzo tintinnarono dolorosamente. […]
Seguita da nuvole di vapore, la nonna andava e veniva tra la cucina e la camera da pranzo, mentre la compagnia aspettava in religioso silenzio. Nessuno osò alzare il coperchio di un vassoio prima del tempo, ma quando la nonna si fu finalmente seduta e il nonno ebbe detto la preghiera di ringraziamento, coltelli e forchette balenarono tutti insieme. Era uno sciame di argentee locuste che volava da un vassoio all’altro.
Una volta che tutti si furono riempita la bocca a sazietà, la nonna si appoggiò allo schienale della sedia e chiese : “Vi è piaciuto?”
Per i parenti e gli altri convitati (inclusa zia Rose) si poneva un grave dilemma rispondere e rompere l’incantesimo o continuare a divorare quel nettare, quel cibo degli dei che andava giù così meravigliosamente nelle loro gole? Non riuscivano a decidere e non sapevano se piangere o ridere. Congelati dal silenzio, parevano capaci di restare lì in eterno, indifferenti a stragi e terremoti, incendi e sparatorie, ammaliati dai deliziosi sapori della cena. Non esistevano cattivi in quel mondo di spezie profumate, di succose radici, di teneri ingredienti; di fronte a tanto anche l’uomo più malvagio si trasformava in innocente. L’occhio non aveva che da spaziare: la tavola era imbandita di fritti, sformati, stufati, sughi inventati sul momento, ogni ben di Dio. Gli unici rumori erano gli scoppiettii eterni delle pentole in cucina e il tintinnio delle posate sui piatti, rintocchi di un orologio che batteva i secondi invece delle ore.
Poi zia Rose chiamò a raccolta tutte le sue forze, la salute e il colorito che erano in lei e, rivolgendo le punte della forchetta verso l’alto, con un boccone saldamente infilzato, osservando il mistero che la forchetta le presentava, parlò nel solito tono roboante.
“Oh, è tutto ottimo. Ma che cos’è, esattamente che stiamo mangiando?”
- "Savuza" (etimologia di probabile origine greca), preparazione tipica del crotonese -
La limonata non tintinnò più nei bicchieri, le forchette si fermarono e riposarono sulla tavola.
Douglas scoccò a zia Rose, l’occhiata che il cervo morente scocca al cacciatore. Tutte le facce mostrarono la stessa sorpresa. Il cibo parlava da sé, no? era la filosofia di se stesso, poneva e risolveva da solo le sue domande. Di che cosa avevano bisogno il corpo e il sangue, se non di quel magico momento di riti e profumi?
“Non riesco a credere” insisté zia Rose “che qualcuno non abbia sentito la mia domanda.”
Alla fine la nonna aprì un poco le labbra per rispondere. “Io lo chiamo il pranzo del giovedì. Lo mangiamo ogni settimana”
Il che era una bugia.
In tanti anni non c’era mai stato un piatto che somigliasse a un altro. Non sapevi mai decidere se il boccone che avevi appena finito di mangiare veniva dalla terra o dal mare, se era cacciagione o pescheria, se nel suo corpo scorreva sangue o clorofilla, se camminava o si limitava a seguire il percorso del sole. Nessuno lo sapeva, nessuno lo chiedeva, a nessuno importava.
Il massimo a cui i convitati si spingevano era affacciarsi alla porta della cucina e ammirare le pentole che bollivano, mestoli che sbattevano, i coperchi che fumavano, come una fabbrica a pieno regime diretta dalla nonna che si muoveva tra le cose automaticamente, senza usare gli occhi ma le dita
Era consapevole del suo talento? Probabilmente no.
Baccelli di fave pasticciati (Savuza)
Ingredienti indicativi
100 g baccelli TENERI delle prime raccolte di fave BIO
2 manciate di pangrattato
1 cucchiaio di aceto
1 cucchiaino di pepe rosso
aglio
olio evo
Preparazione. Eliminare con l’ausilio di un coltello, i filamenti laterali dei baccelli e mettere da parte le fave. Lavare bene i baccelli così ottenuti e adagiarli immediatamente (per evitare che si anneriscano), grondanti d’acqua, in una pentola, far raggiungere l’ebollizione e lasciare finché non evapora l’acqua.
Quindi aggiungere il pangrattato, l’aceto, un trito finissimo di aglio e l’olio evo, rimestando. Dopo qualche minuto (i baccelli devono apparire spezzettati e morbidi)
Quindi cospargere di pepe rosso e rimestare ancora.
Allontanare dal fuoco e trasferire direttamente nel piatto di servizio o sformarlo con gli anelli d’acciaio, cospargere di pepe rosso e decorare con una fava.
Ottimo anche freddo.
- Provati da lei qui e qui
Se qualcuno le domandava il segreto della sua cucina lei abbassava gli occhi e si guardava le mani che un meraviglioso istinto spingeva a coprirsi ogni giorno di farina, come un guanto naturale e che affondavano nei visceri dei tacchini in cerca del loro cuore o della loro anima. Gli occhi grigi della nonna ammiccavano dietro gli occhiali; occhi deboli, costretti a chiudersi per anni e anni davanti alla vampa dei forni e a misurare, con sottile esperienza, i più svariati ingredienti. A volte gli occhi la tradivano e spargeva l’amido sulle bistecche, bistecche straordinariamente tenere e saporite! A molte metteva albicocche fresche sulle fettine e quegli strani accostamenti erano intenzionali e carni, frutta e verdura venivano accoppiati senza pregiudizi, perché la nonna non aveva nessun rispetto delle regole ortodosse. Nella sua cucina esisteva un solo imperativo: che alla fine i commensali si sentissero l’acquolina in bocca e gustassero il pranzo con tutto il cuore. Le sue mani, come le mani della bisnonna prima di lei, erano quindi il suo mistero, la sua delizia, la sua vita. Le guardava spesso con stupore, ma non interferiva mai coi loro compiti, perché dovevano fare a modo loro.
E ora, per la prima volta in tanti anni, qualcuno le faceva delle domande, tentava la dissezione dei suoi piatti con la freddezza di uno scienziato; parlava quando la virtù più apprezzata sarebbe stato il silenzio.
“D’accordo, d’accordo, ma che cosa ci metti nel tuo pranzo del giovedì?”
“A te cosa sembra?” ritorse la nonna, evasiva.
Zia Rose annusò il boccone che aveva infilzato con la forchetta.
“Montone direi. O è agnello? E non riesco a capire se è condito con lo zenzero o la cannella. Il sugo contiene forse del prosciutto? Mirtilli? Con aggiunta di biscotti forse? Mandorle?”
“Hai indovinato tutto. C’è qualcuno che vuol fare il bis?”
Douglas scoccò a zia Rose, l’occhiata che il cervo morente scocca al cacciatore. Tutte le facce mostrarono la stessa sorpresa. Il cibo parlava da sé, no? era la filosofia di se stesso, poneva e risolveva da solo le sue domande. Di che cosa avevano bisogno il corpo e il sangue, se non di quel magico momento di riti e profumi?
“Non riesco a credere” insisté zia Rose “che qualcuno non abbia sentito la mia domanda.”
Alla fine la nonna aprì un poco le labbra per rispondere. “Io lo chiamo il pranzo del giovedì. Lo mangiamo ogni settimana”
Il che era una bugia.
In tanti anni non c’era mai stato un piatto che somigliasse a un altro. Non sapevi mai decidere se il boccone che avevi appena finito di mangiare veniva dalla terra o dal mare, se era cacciagione o pescheria, se nel suo corpo scorreva sangue o clorofilla, se camminava o si limitava a seguire il percorso del sole. Nessuno lo sapeva, nessuno lo chiedeva, a nessuno importava.
Il massimo a cui i convitati si spingevano era affacciarsi alla porta della cucina e ammirare le pentole che bollivano, mestoli che sbattevano, i coperchi che fumavano, come una fabbrica a pieno regime diretta dalla nonna che si muoveva tra le cose automaticamente, senza usare gli occhi ma le dita
Era consapevole del suo talento? Probabilmente no.
Baccelli di fave pasticciati (Savuza)
Ingredienti indicativi
100 g baccelli TENERI delle prime raccolte di fave BIO
2 manciate di pangrattato
1 cucchiaio di aceto
1 cucchiaino di pepe rosso
aglio
olio evo
Preparazione. Eliminare con l’ausilio di un coltello, i filamenti laterali dei baccelli e mettere da parte le fave. Lavare bene i baccelli così ottenuti e adagiarli immediatamente (per evitare che si anneriscano), grondanti d’acqua, in una pentola, far raggiungere l’ebollizione e lasciare finché non evapora l’acqua.
Quindi aggiungere il pangrattato, l’aceto, un trito finissimo di aglio e l’olio evo, rimestando. Dopo qualche minuto (i baccelli devono apparire spezzettati e morbidi)
Quindi cospargere di pepe rosso e rimestare ancora.
Allontanare dal fuoco e trasferire direttamente nel piatto di servizio o sformarlo con gli anelli d’acciaio, cospargere di pepe rosso e decorare con una fava.
Ottimo anche freddo.
- Provati da lei qui e qui
Se qualcuno le domandava il segreto della sua cucina lei abbassava gli occhi e si guardava le mani che un meraviglioso istinto spingeva a coprirsi ogni giorno di farina, come un guanto naturale e che affondavano nei visceri dei tacchini in cerca del loro cuore o della loro anima. Gli occhi grigi della nonna ammiccavano dietro gli occhiali; occhi deboli, costretti a chiudersi per anni e anni davanti alla vampa dei forni e a misurare, con sottile esperienza, i più svariati ingredienti. A volte gli occhi la tradivano e spargeva l’amido sulle bistecche, bistecche straordinariamente tenere e saporite! A molte metteva albicocche fresche sulle fettine e quegli strani accostamenti erano intenzionali e carni, frutta e verdura venivano accoppiati senza pregiudizi, perché la nonna non aveva nessun rispetto delle regole ortodosse. Nella sua cucina esisteva un solo imperativo: che alla fine i commensali si sentissero l’acquolina in bocca e gustassero il pranzo con tutto il cuore. Le sue mani, come le mani della bisnonna prima di lei, erano quindi il suo mistero, la sua delizia, la sua vita. Le guardava spesso con stupore, ma non interferiva mai coi loro compiti, perché dovevano fare a modo loro.
E ora, per la prima volta in tanti anni, qualcuno le faceva delle domande, tentava la dissezione dei suoi piatti con la freddezza di uno scienziato; parlava quando la virtù più apprezzata sarebbe stato il silenzio.
“D’accordo, d’accordo, ma che cosa ci metti nel tuo pranzo del giovedì?”
“A te cosa sembra?” ritorse la nonna, evasiva.
Zia Rose annusò il boccone che aveva infilzato con la forchetta.
“Montone direi. O è agnello? E non riesco a capire se è condito con lo zenzero o la cannella. Il sugo contiene forse del prosciutto? Mirtilli? Con aggiunta di biscotti forse? Mandorle?”
“Hai indovinato tutto. C’è qualcuno che vuol fare il bis?”
Seguì un grande clamore, un tintinnare di piatti, un alzarsi di braccia e voci che speravano di soffocare una volta per tutte le blasfeme domande della zia Rose. Douglas parlava più forte e faceva più baccano degli altri, ma sulle facce dei commensali si leggeva una certa apprensione, come se la loro felicità fosse in pericolo.
[Tratto da L’estate incantata di R. Bradbury]
[Tratto da L’estate incantata di R. Bradbury]
Meraviglioso piatto e meraviglioso racconto..Ah!! le nonne...
RispondiEliminaCiao Solema
ma sai che questi per me sono una vera e propria novità??? brava.
RispondiEliminache poesia il racconto!!un piatto davvero particolare, non sapevo che si mangiassero anche i baccelli delle fave!
RispondiEliminai piatti della tradizione hanno un sapore magico,come questo che ci hai regalato tu ;)
RispondiEliminauna magnifica ricetta fotografata anche benissimo, chapeau
RispondiEliminaChe dire? il filet sotto il piatto è la vera ciliegina sulla torta, a completare il bel racconto e la ricetta evocativa... grande Lenny!
RispondiElimina@solema: le nonne sono dei veri e propri pilastri della nostra formazione
RispondiElimina@betty: non sei la sola, pensa che la mia nonna paterna era solita preparare questa pietanza, mentre la nonna materna che abitava in un paese diverso, la disconosceva
@giò: per lungo tempo ho disdegnato qusto piatto che ritenevo quasi "immorale", nel senso che trovavo "incongruo" cibarsi di ciò che andava buttato. Crescendo ho allargato le mie "vedute gastronomiche", mi sono decisa a provarlo e l'ho trovato squisito
@mirtilla: con la tradizione ho un rapporto conflittuale. A lungo l'ho osteggiata e rinnegata, non solo in ambito gastronomico, ma ultimanente ne ho riscoperto il valore ed il rispetto.
Tuttavia ogni volta che propongo un piatto della tradizione, non manca mai un pizzico di innovazione, anche se solo nella presentazione
@gunther: ti ringrazio, anche se sono ben lungi dal saper fotografare ...
@elisabetta: è una ricetta a me molto cara, intrisa di ricordi d'infanzia
RispondiEliminaBrava per tutto: il racconto, le foto e la ricetta perché non si butta via niente!
RispondiEliminaAnche per me sono una novità...particolare!!
RispondiEliminabellissimo racconto ottima la ricetta che farò sicuramente quanto prima essendo adesso il periodo dei baccelli ed aggiungerò un pizzico di peperoncino buona giornata
RispondiElimina@fantasie: è un piatto della cucina povera, ormai desueto, ma che ancora si prepara in alcune famiglie
RispondiElimina@dolci e non solo: è un piatto tipico del crotonese e quasi sconosciuto in altre province calabre
@ciboulette: ti assicuro che il sapore è erbaceo, ma non amaro, grazie alla presenza dell’aceto e degli aromi, però è necessario che questo piatto venga preparato con i baccelli ancora teneri, quelli delle prime raccolte, per intenderci: aggiungo questa precisazione nel post
@marcella candido cianchetti: il peperoncino (pepe rosso) è già presente nella ricetta
Questa è la testimonianza di come in cucina non si butti via nulla...eccellente e gustosissima credo!
RispondiEliminabacione
non avevo mai pensato di usare i baccelli... bell'idea...
RispondiEliminaCiao Vale
Racconto bello, tenero e la ricetta semplice e appetitosa (neanch'io sapevo che si mangiassero anche i baccelli...)Viva le nonne!
RispondiElimina"Fai come l'antichi, che magnaveno la coccia e buttaveno li fichi?"
RispondiEliminaQuesto é un proverbio romano, ma a quanto pare la saggezza popolare non si smentisce mai. Bella l'idea di usare le "cocce", belle le foto e bello il racconto!
Un bacio, Mik
Ciao! che bello e semplice questo piatto! ed il racconto è davvero molto bello!!
RispondiEliminaun bacione
Le fave fanno parte della mia tradizione culinaria ( sono di origine pugliese)e quindi mi piacciono moltissimo
RispondiEliminaOttimo piatto e bellissima presentazione!!
Compliments
bellissimi!!!! ottima idea, io da buon genovese adoro le fave, che qui chiamiamo basane, li preparerò sicuramente, magari come fingerfood per un ottimo drink
RispondiEliminaSplendido l'abbinamento del racconto con la ricetta! I libri e la cucina sono le mie due grandi, vere passioni...peccato che marito e figlia siano fabici (allergici alle fave)quindi, per una volta, non copio e incollo...!
RispondiEliminati seguo sempre..com'è che quel che toccchi , tocchi, diventa delizioso?S:))
RispondiElimina@saretta: è un piatto di recupero che tuttavia ha un’esistenza breve, perché limitata alle prime raccolte
RispondiElimina@VALENTINA “cuoca” PER PASSIONE: non è una mia idea, ma una ricetta antica
@dada: è un racconto che ho letto qualche anno fa, ma che mi ha letteralmente stregato. Dalle nostre nonne c’è tanto da imparare
@mimmi: …. non a caso è una ricetta della tradizione
@manu e silvia: grazie
@mammazan: io ho imparato da poco ad apprezzare la loro bontà, ma sto cercando di recuperare
@max - la piccola casa: vedrai che saranno molto apprezzate, ma la raccomandazione importante è che vengano utilizzati i BACCELLI TENERI
@virò: libri e cucina sono un binomio indispensabile al nostro "nutrimento"
@genny: benvenuta e grazie
Questa proprio non la sapevo!!!Grazie per avermela fatta conoscere e per il bel racconto;-)
RispondiEliminaSmackkkkkkkkkkkk
Mi hai dato un idea vavolosa!
RispondiEliminaLa rifaccio sicuramente! Brava!
@cannelle: è una ricetta della tradizione dal gusto insolito
RispondiElimina@elisakitty's kitchen: sono felice di averti ispirata